ARTICOLO IL RESTO DEL CARLINO - LA CITTÀ

16 Agosto 2016, Dario Falcini scrive su Wired “Chi altro se non un etologo, potrebbe analizzare 28 tipi differenti di celebrazioni post-gol come fossero ritualità animali?” L’etologo in questione, intervistato dallo stesso giornalista, è Desmond Morris. L’intervista di Falcini ha due assi fondamentali su cui poggiano le basi di un altro evento svoltosi presso la Libreria La Cura di Roseto degli Abruzzi sabato 26 maggio alle ore 17. Il primo asse ci dice come il calcio è cambiato e con esso la struttura stessa del calcio come fenomeno. Oggi non è più avvertito come “ricreazione”, ma lo stesso Morris lo individua in 4 mosse:
“La straordinaria ricchezza dei proprietari dei club, l’enorme torta dei diritti tv, i super stipendi dei giocatori e le transazioni milionarie per averli”. Ma dato questo primo asse, stranamente, il calcio diventa un altro asse che è ancora più passione e forte emotività. La tribù esiste ancora dice Morris. Ovvero quella parte più semplice come il tifo, l’applauso, la cordialità, il rituale del gol ci avvicinano sempre più alla presa di coscienza che i calciatori (ed allenatori) sono tremendamente umani. Questi uomini sono usciti sabato in una sala attenta e affollata da questo secondo asse tra le pieghe del libro di Marco Piccari, “In viaggio con la tribù del calcio”, Intermedia Edizioni, 2017. Questo libro ripercorre le tante interviste di Marco per Mediaset. Il pomeriggio ci fa vivere l’uomo che incontra altri uomini. Marco ha fatto tante interviste e in questo libro, insieme alla sapiente cura della titolare della casa editrice Isabella Gambini, ne riporta alcune. Si parla dell’uomo Bruno Giordano (idolo e simulacro insieme), del pane a pranzo a casa di Di Canio durante l’intervista “scomoda” sui suoi tatuaggi discussi tanto in tv e di un saluto dubbio alla tifoseria nello , dell’uomo figlio di Re Cecconi e del padre Re Cecconi, del bomber Pruzzo e di una velata nostalgia verso una poesia del calcio nell’ultima intervista del nostro attuale  ct della nazionale Roberto Mancini. Un viaggio, un vagone pieno di idee, sogni e speranze che il Marco umile e uomo anche lui ci racconta spogliandosi del suo ruolo da giornalista e diventando uno di noi. La sapiente guida di Pina Manente, giornalista doc del nostro panorama abruzzese e nazionale, non risparmia dal dibattito il bravo giornalista Alessandro Santarelli che ci ricorda come il calcio sia soprattutto oggettività e speranza di un risultato migliore. Il giornalista in primis ha questo compito. La speranza che si accende per fare meglio e non abbattersi mai pervade la sala. Io, presente all’incontro, da ex calciatore e oggi più vicino al calcio grazie ai dati e alla scienza, mia vera competenza, ascolto e penso che il libro di Marco sia un pò una piega, un metodo barocco, direbbe il filosofo Deleuze, di raccontare il reale con interpretazioni diverse. Di affrontare la complessa sfida sterile che ogni lunedì, dopo le partite, si mette all’opera tra complottisti e qualunquisti da un semplice bar a salotti più importanti. Anche questo il bello del calcio.