Il caso Silvia Romano: la comunità di Chakama, i servizi segreti italiani e quelli turchi - Report Difesa

La mia analisi per Report Difesa sul caso Silvia Romano, dal suo rapimento fino alle operazioni di intelligence che hanno portato alla sua liberazione e al ritorno a casa.

silvia romano

 

Era scomparsa dal villaggio della comunità di Chakama, dove seguiva un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio

Ma andiamo a vedere alcune modalità e attori. Intanto il lavoro di intelligence è stato seguito dai servizi italiani (AISE nello specifico, Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna), somali e turchi.

Dal 20 novembre 2018 la giovane italiana era scomparsa dai radar. La ricostruzione dice che una banda, tipica delle zone, l’aveva sequestrata e poi “scambiata” o “venduta” ai terroristi somali.

“Tre dei responsabili del blitz erano stati arrestati e dalle indagini, portate avanti in Italia dalla Procura di Roma, era in effetti emerso che la ragazza potesse essere stata trasferita in Somalia subito dopo il sequestro: un trasferimento lampo organizzato da un gruppo islamista legato a Al-Shabaab, che aveva fornito alla banda di criminali comuni kenioti, autori materiali del sequestro, denaro e mezzi” -  Leggi la notizia

 

Il 30 settembre del 2019, l’intelligence diffonde una nota secondo cui Silvia è viva. L’8 e il 9 maggio 2020 Silvia viene liberata in Somalia e l’11 maggio arriva a Roma.

Il gruppo presunto che l’ha rilasciata è quello degli jihadisti somali di Al-Shabaab, presumibilmente legato ad Al Qaeda.

Umberto Saccone, presidente di IFI Advisory e già direttore Controspionaggio del SISMI (ex Servizio segreto militare italiano pre-riforma L. 124/2007, ora AISE) e capo della Security ENI, ci aiuta a capire un po’ la situazione generale: dal 2001 ad oggi i sequestrati nel mondo sono stati 65 di nazionalità italiana, di cui 19 operatori umanitari.

Negli ultimi anni il 52,5% dei rapimenti è avvenuto ai danni di cooperanti delle ONG (34,5%) e dei giornalisti (18%) - Leggi la notizia

 

Riflessioni operative

Al di lá dei numeri,  iniziamo a fare delle riflessioni operative. La prima è che si sapeva benissimo che Silvia Romano o chi per lei recandosi in quella comunità si sarebbe esposta e un rischio di tal genere.

Pertanto, come mai associazioni umanitarie che conoscono bene la situazione del posto mettono in pericolo i propri ragazzi e non si dotano di una più stretta collaborazione con le Forze dell’Ordine di provenienza e soprattutto delle ambasciate.

Il villaggio di Chakama in Somalia pare che sia il palcoscenico degli jihadisti sia dell’ISIS che di Al Qaeda e Al-Shabaab appunto ne è la dimostrazione.

Questi ultimi vivono della pirateria somala che agisce indisturbata nei mari tra Europa, Africa e Asia. A loro volta tali pirati hanno armi di altissima pregiatura.

Questo ci fa capire che le operazioni USA, della Somalia e del Kenya, di questi ultimi famosa é l’operazione denominata “Linda Nchi”, non hanno indebolito la forza oggettiva di Al-Shabaab.

Se le ONG non capiscono questo, saranno sempre causa di questi atti criminali ponendo poi le basi di ricatto verso  nazioni che sono soggiogate dai criminali che estorcono soldi e armi a favore di liberazioni di ostaggi.

Da questo punto di vista tra smentite e fake, possiamo dire con estrema chiarezza che proprio in base a questo motivo e ad una tutela maggiore dei ragazzi che vanno lì che i servizi segreti internazionali sono molto presenti in questi territori e cercano, con le loro abilità anche diplomatiche e di relazioni, di ammorbidire molto la corruttela locale.

Purtroppo bisogna a volte scendere a patti proprio per i motivi sopra elencati. Proprio per Silvia, come fanno sapere i nostri servizi segreti, dopo aver avuto contezza del trasferimento della rapita in Somalia, i nostri 007 si sono trasferiti “stabilmente in quel Paese, senza mai interrompere le attività di ricerca, fino all’operazione dell’altra notte, quando, in silenzio e con professionalità, hanno recuperato Silvia Romano” - Leggi la notizia

 

In quest’ottica confluisce la seconda riflessione che fa paio con tutte le macro applicazioni dell’intelligence

Per la liberazione di Silvia sono state utilizzate tutte le tecniche di cui dispongono i nostri servizi segreti: HUMINT, SIGINT, IMINT, MASINT e OSINT, tutte con lo scopo comune di raccolta e reperimento di informazioni, ma attraverso mezzi differenti.

La HUMINT, che sta per HUMan INTelligence, usa i contatti interpersonali.

La SIGINT (SIGnals INTelligence) agisce attraverso l’intercettazione e l’analisi di segnali, sia emessi tra persone sia tra macchine e quindi elementi di Data Science preliminari.

L’IMINT, acronimo di IMagery INTelligence, sfrutta l’analisi di fotografie aeree o satellitari.

La MASINT, ossia Measurement and Signature Intelligence, si occupa delle informazioni non visibili tramite sensori elettronici o radar, quindi non classificabili in nessuna delle altre discipline principali di raccolta.

L’OSINT, Open Source Intelligence, l’analisi delle fonti aperte, open source e tutto ciò che poteva, nel caso del sequestro, far commettere errori ai sequestratori.

Tutto questo con una forte unione con i servizi segreti turchi, i MIT (Milli Istihbarat Teşkilati).

Molti pensano a fare la corsa al primo della classe, mentre queste operazioni hanno una caratteristica di collaborazione che rispondono alla capacità interpersonale di saper gestire delle trattative.

E come mai proprio con i MIT? Perché la lunga striscia di forti contatti tra il MIT e i somali ha una storia. Come fa notare Giuseppe Gagliano, “gli accordi di cooperazione tra Somalia e Turchia iniziano già nel 2010, accordi questi che prevedono l’addestramento delle Forze Armate con la finalità principale di garantire la stabilità politica interna. A tale proposito pensiamo all’infrastruttura militare costruita proprio in Somalia e ai consistenti aiuti economici dati alla nazione africana. In secondo luogo la Turchia ha posto in essere iniziative per la costruzione di infrastrutture fondamentali per la Somalia come il rinnovamento dell’aeroporto internazionale di Aden Adde, la modernizzazione del porto di Mogadiscio – oggi gestito dal gruppo turco Al-Bayrak – e la realizzazione di uno dei più moderni ospedali del Corno d’Africa ribattezzato Erdoğan Research and Training Hospital“ - Leggi la notizia

Quindi una forte conoscenza del territorio ha aiutato la già forte competenza dei nostri servizi. Con due passaggi possiamo fare scacco matto a chi tende a prendersi il merito di un’operazione che invece parla di cooperazione.

Da qui chiariamo anche un altro aspetto: la funzione dell’intelligence non deve connotare le possibili contaminazioni nelle diatribe comunicative o propagande pro e contro. I servizi segreti agiscono sempre con acutezza e silenzio.

Quell’orda mediatica è stata costruita ad hoc da altri e già quei pochi passi di Silvia tra aereo e ingresso in aeroporto la dice lunga.

Prima di tutto la presenza di Conte e Di Maio. Insieme. Aspetto che ha acceso la prima controversia. Sembrava volere stare attenti a quello che dicesse la ragazza sul riscatto. Ovvero pagato o no.  Approfondiamo questo aspetto.

 

Il pagamento del Riscatto

In caso di sequestro di persona di matrice terroristica, esistono degli organismi, la Convenzione di New York del 1979, il G7 di Parigi del 1989, il FATF, ovvero Financial Action Task Force a cui si unisce nel 2011 il GCTF, il Global Counter Terrorism, che coordinano le politiche degli Stati per contrastare il fenomeno attraverso dei provvedimenti ad hoc, come il memorandum di Algeri del 2012 o le risoluzioni n. 2161 e 2170 del 2014 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che vietano agli Stati Membri il finanziamento di organizzazioni terroristiche per qualsiasi causa, compreso il pagamento del riscatto.

L’ordinamento italiano, inoltre, non ammette il favoreggiamento reale. L’art. 379 C.P. prevede che chiunque aiuti taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato (in questo caso pagando un riscatto), è punito con la reclusione fino a cinque anni.

In coerenza con tale norma, il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 vieta l’assicurabilità del rischio da sequestro di persona.

Quindi ci porteremo il dubbio con noi anche se nella maggior parte dei casi e come abbiamo detto sopra senza riscatto non ci sarebbe stata la liberazione.

Altro aspetto della prossima riflessione è legato al ritorno di Silvia e, al tanto discusso abito: “Si chiama jilbab ed è l’abito verde con cui Silvia Romano è scesa dall’aereo all’aeroporto militare di Ciampino dopo essere stata liberata. Non è un abito religioso ma chiaramente è indossato da donne islamiche” – ha spiegato Freddie del Curatolo, direttore di malindikenia.net – “è un abito più da passeggio. Lo usano molto le tribù al confine tra Kenya e Somalia come gli Orma e i Bravani” - Leggi la notizia

E come lo indossa Silvia Romano e come porta più volte la sua mano sul ventre: un atteggiamento che pare uno pseudo-messaggio indiretto di Al-Shabaab al mondo.

Da questo punto di vista, ci sono anche ulteriori rischi che oltre al rafforzamento della figura di  Al-Shabaab  si possono trovare line di affinità con una certa fronda anarchica che potrebbe risvegliarsi insieme a quelli che sono le ultime tendenze ad addestrare terroristi dell’ISIS in Italia e farli integrare in queste associazioni. Questa riflessione ci porterà ad altre puntate anche qui fondamentali sulla vicenda.

Merita infine una menzione una delle ultime riflessioni dell’analista di contro-terrorismo, sicurezza e difesa Franco Iacch sulla vicenda: “Silvia Romano, Repubblica e Somalimemo. Come avrebbe fatto Repubblica ad intervistare un morto? È bastato un semplice testo sul portale Somalimemo per gettare ombre sull’intervista di Repubblica al portavoce dell’organizzazione terroristica che avrebbe tenuto in ostaggio Silvia Romano. Posto che non ho mai fatto mistero delle mie perplessità sulle anomalie riscontrate in quelle dichiarazioni, crediamo per un attimo a Somalimemo: il portavoce di al-Shabaab non ha mai parlato con Repubblica. Anche perché, secondo diverse fonti, Dehere sarebbe morto. Tuttavia se concediamo affidabilità a Somalimemo, Ali Dehere è vivo. Almeno fino a 19 giorni fa, quando ha pubblicato un suo monologo sul Coronavirus. O è morto nei giorni successivi (e non vi è traccia alcuna al riguardo) o è ancora vivo. E se lo fosse avrebbe anche potuto rispondere ad un telefono. Sulla vicenda Romano esiste SOLO una storia alternativa pubblicata dal canale responsabile per tutte le comunicazioni di al- Shabaab che NON è Somalimemo. Attenzione a dare credibilità ai presunti comunicati delle organizzazioni terroristiche. Attenzione a dare credibilità alle loro presunte smentite o rivendicazioni. Questa è una guerra di contenuti. Nell’Information Warfare la verità è solo un dettaglio” - Leggi la notizia 

In definitiva, quello che molti devono sapere, compresi gli addetti lavori per delle testate giornalistiche, è che le attività di collaborazione tra i vari servizi non dovrebbero mai cessare.

Soprattutto non devono cessare in base a delle leggi internazionali che stabiliscono la possibilità che questi fatti non devono proprio accadere.

Quindi bisogna sempre più collaborare come i turchi o con chiunque altro  e capire come bisogna puntare ed investire sempre più sulla HUMINT che dovrà consolidare la predittivitá ed evitare altri sequestri.

Altre riflessioni vanno fatte e andranno fatte, anche qui, in prossime puntate, su altre frasi di Silvia Romano rilasciate al Corriere, una su tutte: “volevo pregare, mi hanno dato il Corano in arabo e in italiano» - Leggi la notizia 

 

Fonte: Report Difesa