La mia intervista alla Dott.ssa Alessandra Millevolte e ad Andrea Montesi sui cambiamenti digitali in corso in questa situazione di emergenza.
Negli ultimi mesi siamo stati costretti a modificare le nostre abitudini, aggiornando persino le modalità di lavoro: lavoro agile, riunioni in videoconferenza, lezioni online e così via. Il parere di due esperti dell’Accademia di Belle Arti e Design – Poliarte, Alessandra Millevolte e Andrea Montesi, sulle conseguenze di questi cambiamenti sulla psiche e sulla nostra capacità di adattamento.
SMART WORKING IN CONDIZIONI DI STRESS
Dott.sa Alessandra Millevolte
Oggi c'è qualcosa di nuovo rispetto agli scenari che già da tempo hanno orientato le aziende allo smart work o lavoro agile che si voglia dire: c'è una situazione, quella determinata dalla pandemia, in cui lavorare da casa – e addirittura rimanere a casa - è imposto da decreti governativi, oltre che dal buonsenso. Lavorare da casa significa mantenersi attivi e connessi e soprattutto significa prepararsi al "dopo”, investire nel futuro: allora dobbiamo imparare a farlo rapidamente, pensarlo e progettarlo nella sfera organizzativa di ogni azienda e nel personale spazio mentale e fisico di ogni lavoratore. Tutto questo passa necessariamente da un cambio di mentalità, dall’adozione di una forma mentis orientata a trarre apprendimenti da ogni esperienza, a usare le proprie risorse per risolvere i problemi in modo nuovo, a immaginare scenari diversi e a liberarsi dalle abitudini oggi non più funzionali –ad esempio, imparare a valutare le prestazioni in termini di risultati raggiunti piuttosto che di ore di presenza al lavoro -, affrontando le necessarie trasformazioni e sapendo gestire le inevitabili ansie e il disorientamento che possono generare. Data l’eccezionalità della situazione, non ci sono risposte preconfezionate, ma vanno costruite insieme, aprendo all’interno del contesto organizzativo un “cantiere” di lavoro per immaginare come adottare una modalità di lavoro – lo smart working – che in genere si attua in condizioni e con tempistiche programmate e limitate e che in relazione alla situazione presente dobbiamo invece implementare in modo rapido. Non è solo questione di imparare a utilizzare strumenti tecnologici e poter gestire un orario flessibile. Specie in condizioni di emergenza implica molto altro: innanzitutto affrontare la paura, lo stress, le emozioni negative; imparare a ricreare la comunità lavorativa e a ricostruire il senso di appartenenza; comprendere il contesto in cui applicare il “lavoro agile”, quali sono i suoi confini e le sue regole (fra cui, ad es., il diritto a essere disconnessi); imparare a misurarsi non sulle ore lavorate ma sugli obiettivi raggiunti; programmare le attività dosandole nell’arco della giornata, tenendo conto sia della curva personale di produttività, sia del luogo in cui si lavora (ci sono bambini a casa? si dispone di uno spazio riservato per il lavoro o lo si condivide? ecc.); essere consapevoli delle diverse tipologie di strumenti da utilizzare per il lavoro a distanza, ciascuno dei quali presenta caratteristiche e funzionalità che lo rendono più adeguato a determinate funzioni e richiede modalità di comunicazione e uso del linguaggio diverse; condividere in modo trasparente dati e informazioni con i propri colleghi; ma soprattutto ripensare al modo di gestire le relazioni, sia quelle professionali (con il capo, i colleghi, i clienti) sia quelle con i familiari che condividono lo spazio di lavoro.
COVID 19 E LA RIVOLUZIONE DIGITALE INDOTTA
Andrea Montesi
Ci abitueremo, anzi ci stiamo già abituando.
Ci stiamo abituando a vedere cittadini comuni, e non medici ed infermieri, indossare mascherine e guanti per preservare la propria e l’altrui salute. Ci stiamo abituando ad accettare il concetto e la pratica della limitazione della nostra libertà di movimento (finché sarà necessario). Ci stiamo abituando a percepire il tempo come un vissuto diverso, forse meno frenetico ma comunque impegnativo. Trasformeremo il tempo vuoto, dello sbalordimento e della presa di coscienza che la pandemia è viva e colpisce duro, in tempo pieno, carico di vecchie speranze e nuove azioni. E ci stiamo abituando anche ad una “rivoluzione lavorativa tecnologica” forse progettata, ma effettivamente mai applicata prima in modo così esponenziale ed accelerato. Forse alcuni contesti professionali altamente specializzati o compagnie industriali lungimiranti e con forti capacità economiche hanno già posto in essere tale avanzamento tecnologico e lavorativo. L’uomo per sopravvivere modifica l’ambiente circostante, magari con un impatto altamente distruttivo, ma prima ancora di modificare l’ambiente, l’uomo per sopravvivere si adatta. La modifica è infatti l’output ultimo di un processo di consapevolezza delle proprie risorse, capacità e limiti. A volte avviene con difficoltà e resistenze, altre con naturalezza e spirito pioneristico. Altre volte ancora, senza rendersene conto, l’essere umano subisce le modifiche (climatiche, di risorse economiche, delle mode) e, appunto, si adatta. E per farlo sfrutta appieno le proprie risorse fisiche e soprattutto cognitive. E sono a queste ultime tipologie di risorse, le cognitive, cui si richiede di intervenire in modo estremamente reattivo e puntuale in questo periodo di trasformazione del lavoro. Questa rivoluzione è indotta perché inaspettata, necessariamente veloce anche per restituire a coloro che sono nelle proprie abitazioni una parvenza di “normalità lavorativa”. È indotta perché non ci sono ancora né i tools adatti, né soprattutto le reazioni cognitive adeguate (nuove modalità di relazione, di utilizzo dei software, etc..) per il repentino cambiamento. L’Ergonomia, scienza che da decenni studia l’interazione tra essere umano/tecnologia/ ambiente, nella sua declinazione in ergonomia cognitiva, ci suggerisce che un adattamento cognitivo completo, complesso e soddisfacente, deriva soprattutto dalla strutturazione degli ambienti virtuali – e tools connessi – creati in modo semplice, comprensibile, intuitivo, dinamico e funzionale (usability). Se vogliamo che le nostre menti siano pronte per questa rivoluzione digitale indotta, dobbiamo prima accettarla e poi avere a disposizione strumenti, web e software all’altezza della richiesta, delle nostre possibilità e dei nostri limiti. Insomma, da un lato c’è la necessità di semplificare il messaggio, cosicché la nostra mente elabori più repentinamente gli schemi di comportamento necessari per la nuova “fisicità lavorativa virtuale”. Dall’altro dobbiamo porci nelle condizioni di accettare il cambiamento e confidare nelle nostre risorse cognitive per adattarci alla nuova realtà digitale, al fine di trasformare la rivoluzione digitale indotta in rivoluzione digitale accolta.