Per la mia rubrica "La vite di Archimede" su Il Resto del Carlino - La Città Quotidiano - gli interventi di due donne impegnate nell'educazione e nella formazione, Daniela Battaglia e Catia Mengucci, che riflettono sull'attuale situazione di emergenza ponendo l'attenzione sulla pedagogia creativa e sull'uso intelligente della distanza.
Battaglia. Nei tempi del coronavirus non si può prescindere dalla considerazione che ci siamo trovati improvvisamente catapultati in una realtà dove paura, dolore e perdita sono rimbalzati di casa in casa in maniera imprevedibile e sconcertante e il termine distanza ha assunto un ruolo da protagonista sia nella sua accezione meramente fisica che in quella psicologica. Molte iniziative si stanno succedendo affinché si attenui il senso di irreale isolamento che aleggia tra le strade deserte e le persone chiuse tra le mura della propria casa. Ma questi tempi sono anche i tempi della ristrutturazione del campo percettivo e cognitivo. Sono i tempi della riflessione e della riorganizzazione dello stile di vita. Sono i tempi in cui ci si guarda dentro.
“Se fate amicizia con voi stessi non sarete mai soli” recita una nota frase dell’autore motivazionale Maxwell Maltz e fare amicizia con noi stessi significa anche concepire questo tempo dilatato come l’opportunità per ripensare e ripensarsi. È il momento di riprendere idee e progetti accantonati, di concepirne di nuovi e, soprattutto, è il momento di dare spazio alla nostra creatività e di guardare con occhi diversi la situazione che stiamo vivendo. È il momento della resilienza attraverso la creatività. Gianni Rodari, nella sua Grammatica della fantasia, fa riferimento allo psicologo bielorusso L.S. Vygotskij per affermare che tutti gli individui, e non solo pochi privilegiati, posseggono una comune attitudine alla creatività (Einaudi, Torino, 1973, pp. 169–170). Emerge allora l’esigenza di una pedagogia della creatività, una pedagogia rivolta a tutte le fasce d’età secondo un’ottica che vede nel lifelong learning il percorso che conduce verso una crescita della persona e della società e dove il pensiero si libera da concetti convenzionali e stereotipati per dare origine a nuove interpretazioni della realtà e a soluzioni originali. L’agire creativo è caratterizzato da forme di pensiero fluido, flessibile, originale, in grado di elaborare informazioni e conoscenze, di riorganizzarle e utilizzarle in efficaci percorsi divergenti.Ecco dunque l’importante valenza positiva della creatività anche in situazioni di emergenza sociale come l’attuale, essa infatti esercita una significativa influenza sull’attitudine degli individui alla resilienza, costituendo una risorsa in grado di potenziare la capacità di reagire alle situazioni, attuando modalità adattive funzionali alla realtà del momento. Liberare la nostra creatività è la sfida a cui siamo chiamati per abbattere le barriere dell’isolamento e scoprire nuove dimensioni di senso.
Mengucci. Sarà tutto diverso dopo il COVID 19! Questa frase la sentiamo ripetere spesso. Alcuni configurano scenari ottimistici di evoluzione sul profilo sociale e psicologico altri, scettici, ritengono che dopo un primo tempo di palese cambiamento, ritorneremo ad essere come prima. Credo che al momento non abbiamo gli strumenti per prevedere come sarà e come cambieremo. Le nostre ipotesi sarebbero infatti dettate da paradigmi vecchi e, forse, non più adeguati a leggere questa grande trasformazione generata da una infinitesimale particella infettiva. Ritengo che dovremmo evitare questa posizione intellettuale di anticipazione del futuro che implica un forte controllo, per quanto sia molto importante per lenire la nostra preoccupazione e ansia. Astenersi, in questo tempo sospeso, da trovare connessioni causali su futuri comportamenti sociali è, a mio avviso, creare il terreno fertile per accogliere il cambiamento. Mantenere in noi lo spazio vuoto popolato solo di osservazione, flusso di pensieri e consapevolezza è funzionale alla ricerca di senso. Per cambiare o meglio per evolvere, perché si può cambiare anche in peggio, occorre predisporsi al cambiamento. Cambieremo nella misura in cui vorremo cambiare, perché avremo connesso parti di noi a nuovi significati scaturiti dalla riflessione in questo e su questo tempo. E allora che fare? In primo luogo, prendere distanza. Distanza sembra essere la parola che più ci accompagna e ci condanna in questo tempo. Dobbiamo vivere lontano dagli affetti, interrompere le attività che ci piace fare, evitare il nutriente contatto fisico. Moltissime persone hanno dovuto vivere la morte dei propri cari a distanza. Eppure, superando la barriera della libertà temporaneamente negata e la sofferenza che ne deriva, possono essere intraviste opportunità di senso nel vivere la distanza. La distanza recupera il desiderio, induce riflessione sui propri vissuti soprattutto disabituandoci a vivere e ad assumere la realtà solo con la pancia. La distanza implica ricerca su cosa posare lo sguardo e mettere a fuoco. La distanza fa ricomprendere il senso del rispetto, delle persone e dell’ambiente. Prendere distanza, allora, diventa la condizione necessaria per poter osservare, riflettere e forse costruire il cambiamento.
La distanza può essere sapiente.