Quanto la Teoria delle Reti può aiutarci durante le emergenze e un appello alla creatività - Il Resto del Carlino, La Città

 Marco Santarelli La Città del 19-03-2020

La mia intervista per la rubrica La Vite di Archimede de Il Resto del Carlino - La Città di oggi a due grandi esperti di reti, infrastrutture critiche e sistemi complessi, Prof. Gregorio D’Agostino, Knowledge Exchange Officer per ENEA, e Dott. Antonio Scala, ricercatore CNR e presidente della Big Data in Health Society che ci spiegano come funziona una pandemia e come conoscere le reti può aiutare ad affrontarla, e al Prof. Giordano Pierlorenzi, Direttore dell’IPSE – Istituto di Psicologia e di Ergonomia Poliarte e Direttore dell’Accademia di Belle Arti e Design Poliarte di Ancona che invece ci spiega come gestire la paura in situazioni di crisi, appellandosi alla creatività.

 

Opinioni a confronto

Prof. Gregorio D’Agostino, Knowledge Exchange Officer per ENEA, e Dott. Antonio Scala, ricercatore CNR e presidente della Big Data in Health Society. 

 

La teoria delle reti sostiene che siamo tutti connessi e vicini, ovvero in un solo mondo. Ci può spiegare in breve come si propaga da un punto a un altro un virus che ha le stesse caratteristiche di una rete?

D’Agostino:

Le reti costituiscono un’astrazione elementare molto efficace di realtà molto complesse: il caso delle epidemie è in questo senso emblematico. La propagazione di un’epidemia dipende da moltissimi fattori prevalentemente di tipo biologico e sociale. Dal punto di vista biologico ad esempio vi è una notevole differenza tra patogeni virali e batterici e nell’ambito dei virali sono significative caratteristiche come la struttura glico-proteica del capiside che determina la capacità e l’efficienza nell’infettare le cellule o il tipo di polimerasi necessarie alla duplicazione del virus. Dal punto di vista sociale sono importantissimi le tipologie di rapporti tra gli individui, la loro frequenza, la loro molteplicità, la tendenza alle aggregazioni per grandi o piccoli gruppi, etc. Tuttavia nella rappresentazione delle reti tutti questi fattori vengono sintetizzati in pochi numeri essenziali, insieme ovviamente alla rete dei contatti, cioè per ogni individuo l’insieme delle persone con cui ha occasione di contagio. In particolare due numeri fondamentali (necessari per ogni modello) sono la probabilità di propagazione (di solito si indica con beta) e la letalità. Per ogni potenziale contatto dovremmo conoscere entrambi questi fattori, ma la bellezza dei grandi numeri è che alcuni risultati non dipendono dal dettaglio, ma solo dal valore tipico di tali grandezze. Lo stesso per le reti, ovviamente per conoscere e prevedere il dettaglio del decorso di una specifica epidemia occorre conoscere tutta la rete, ma per avere comportamenti generali basta sapere la “classe” di reti a cui appartiene. Nel caso delle odierne strutture sociali in cui tutti siamo connessi a tutti tramite cinque o sei passi a livello planetario (tecnicamente reti a leggi di potenza) il risultato fondamentale è che non c’è una soglia epidemica. La brutta notizia è che per quanto noi ci sforziamo di abbassare la probabilità di contagio, lasciando inalterate la nostra struttura di relazioni fisiche, l’epidemia si diffonde sempre. Ma la cinetica, cioè la tempistica con cui si manifesta la malattia cambia. Se abbassiamo la probabilità di contagio il numero di individui simultaneamente infetti si riduce e il nostro sistema sanitario è in grado di trattarli tutti. Questa è la speranza che soggiace alla strategia posta in atto dal governo. In realtà, se fossimo in grado di mutare profondamente la topologia della rete dei nostri contatti fisici aumentando a dismisura il numero di gradi di separazione tra gli individui, emergerebbe anche una soglia sotto la quale l’epidemia si estingue. Questa è la seconda speranza che soggiace alla strategia del governo. 

Marco Santarelli La Città 19-03-2020

Se chiudiamo il Paese dall’esterno e ritorniamo ad una struttura a connessione iper-locale, forse l’epidemia si estingue, in Italia. I limiti di questa strategia sono evidentemente due: la capacità di attuare realmente le misure e la coordinazione con il resto del pianeta. Ovviamente connettività zero è impossibile perché noi esseri umani necessitiamo dei “servizi essenziali”. Tutti noi dobbiamo mangiare e bere; qualcuno deve eliminare i nostri rifiuti; consumiamo energia e connettività etc. Il secondo numerino importante è la letalità, la probabilità di morire o riportare danni avendo contratto la malattia: questo dipende dalle caratteristiche biologiche dell’infetto, dalla qualità della sua vita e dal trattamento sanitario a cui è sottoposto. Su questo la teoria delle reti non è di aiuto. 

Un’altra domanda cruciale per i modelli è “SIR o SIS?” Cioè: un individuo può essere Sano (S), può divenire Infetto (I) e poi diviene Refrattario (R cioè immune) oppure di nuovo Sano (S), ma infettabile? Purtroppo questo non è noto per tutti i patogeni ed in particolare per questa pandemia.

L’altra questione pressante è quanto tempo dobbiamo attendere perché le misure introdotte diano risultati? Questo dipende anche da un terzo numerino che è il tempo di latenza o incubazione. Quanto passa da quando un individuo è contagiato a quando diviene infetto? E un altro numerino ancora: il tempo medio di guarigione. Da questi due numeri dipenderà la durata della quarantena decisa dal governo. Purtroppo anche questi numeri non sono noti con precisione e quindi non è possibile fare previsioni fondate. 

Scala:

Vi spiego cosa succede ad un virus quando si trova all’interno di una rete.

Innanzitutto, per capire la differenza tra virus e rete, basta guardare cosa succede in un mondo meno connesso. L’esempio classico è l’epidemia di peste nera in Europa: dall’arrivo in Medio Oriente fino al suo spegnersi nei Mari del Nord passarono circa due anni e mezzo. All’epoca i collegamenti erano difficili e la velocità dell’epidemia procedeva con la velocità con cui le persone e le merci si muovevano. In pratica, la rete dei contatti sociali era meno densa, per cui il contagio per passare da una città all’altra doveva aspettare che qualcuno si spostasse con i lenti mezzi dell’epoca dall’una all’altra.

Oggi la velocità degli spostamenti è tale che una persona infetta, prima di rendersi conto di essere tale, può già essersi spostata da un punto all’altro del globo. Non a caso i modelli epidemiologici più avanzati indicano i trasporti aerei come i maggiori “acceleratori” di epidemie. In generale, più la rete sociale è connessa, più l’epidemia ha facilità a propagarsi: non a caso la prima norma in questi casi è “diluire” la rete, ovvero evitare quei luoghi (trasporti pubblici, scuole, stadi, assembramenti in generale) dove tante persone sono a contatto.

Effetto domino ed epidemie: come sono correlati?

D’Agostino:

Effetto domino ed epidemia sono due termini del linguaggio naturale per indicare la propagazione di uno stato (opinione, malattia, debito, etc.) da una persona (o un soggetto astratto) ad un’altra. Normalmente si usa la prima espressione per gli eventi dominati da fattori deterministici, mentre l’espressione epidemia è riservata alla propagazione diffusa di patogeni in una comunità umana, animale o vegetale. Quindi nel primo caso il problema è preesistente e una piccola perturbazione ne innesca gli effetti con una cinetica solitamente rapidissima e incontrollabile; mentre nel secondo esiste una rete di relazioni normale e la propagazione avviene con meccanismi probabilistici a cui è possibile opporsi mutando i costumi. L’effetto domino si può prevenire evitando le condizioni critiche che lo consentono, le epidemie sono invece praticamente inevitabili.

Scala:

Quando per la prima volta furono introdotti i nuovi modelli epidemiologici che tenevano conto dei flussi globali di persone nel mondo, si capì subito che, per evitare che tutti i paesi si contagiassero per effetto domino, l’unico intervento era interrompere tali flussi, in particolare quelli aerei. Per essere efficace, tale soluzione purtroppo richiede nella maggior parte dei casi un tempo inferiore a quello di cui si dispone: in pratica, da quando nasce un’epidemia a quando viene rilevata clinicamente, i portatori hanno già avuto modo di fare il giro del globo e la chiusura dei traffici non risolve il problema. Allo stesso tempo, poter risalire a chi è stato potenzialmente esposto al contagio ed isolarlo aiuterebbe a mitigare l’epidemia. 

 

Quali pensa che saranno gli scenari futuri?

D’Agostino:

Purtroppo una popolazione di otto miliardi di abitanti con una struttura sociale a pochi gradi di separazione è per sua natura prona a pandemie che sono e saranno assolutamente inevitabili. Ma possiamo e dobbiamo imparare a gestirle. Per farlo occorre creare delle specifiche strutture, sia di presidio sanitario che di indagine sistemica, che consentano l’individuazione precoce delle nuove pandemie (prima che divengano tali); occorre l’adozione di strategie di contrasto e il trattamento adeguato dei soggetti colpiti. Il presidio sanitario implica l’esecuzione permanente di test su individui apparentemente sani scelti a caso (specialmente nei punti di connessione tra macro-comunità) non solo per evidenziare un patogeno noto, ma per identificare anche nuovi patogeni. Inoltre è necessario conoscere la struttura sociale degli individui e questo è in potenziale contrasto con il GDPR ed in generale con le leggi di tutela della privacy. Infine è necessario rendere le strutture sanitarie dinamicamente convertibili per affrontare le contingenze epidemiche. In altre parole: prevenzione, diagnosi precoce pre-epidemica (early warning), monitoraggio della rete sociale e resilienza dell’infrastruttura sanitaria.

Scala:

La prima cosa da fare è avere un sistema di analisi e modelli che analizzi dati di qualità raccolti in presa continua. Tale sistema deve funzionare non solo durante le emergenze, ma anche prima che accadano, in modo da partire da una situazione con il minor numero di incognite possibile. Ovviamente un sistema del genere non può che partire da un approccio interdisciplinare, in grado di elaborare dati tenendo conto del loro significato clinico-medico, di analizzare scenari in base alle possibili politiche di intervento e di comunicare in modo efficace e differenziato i risultati ottenuti ai decisori e ai cittadini. Non bisogna assolutamente sottovalutare l’importanza di una comunicazione che affianchi e supporti i piani di intervento evitando da un lato il panico, dall’altro la sottovalutazione del problema. È inoltre chiaro che un tale sistema non può che essere coordinato a livello mondiale: in una epidemia, prima si parte e meno restrittive possono essere le misure. Inoltre, vi deve essere una procedura condivisa su quali siano i dati da rilevare e le procedure affinché siano confrontabili, nonchè un comune accordo sui modelli interpretativi e sui parametri di interesse. Dando per scontato che se un paese sta già soffrendo una escalation del fenomeno, allora sicuramente qualche infetto sarà già presente anche nel mio territorio, si può evitare di aspettare che il fenomeno raggiunga anche da me livelli elevati ed agire di anticipo, cercando di isolare i possibili contagiati. Nei paesi occidentali, lo scenario futuro che spero si verifichi è che in condizioni di allarme le persone si autodenuncino immediatamente, sia per il bene del paese, sia perché così potranno avere cure tempestive; in alternativa, si rischia di dover ricorrere a sistemi più intrusivi della nostra privacy come quelli che sono stati possibili – ed efficaci – in paesi con una tradizione di maggior rispetto della collettività rispetto all’individuo.

Marco Santarelli La Città 19-03-2020

Appello alla creatività

Prof. Giordano Pierlorenzi, Direttore dell’IPSE – Istituto di Psicologia e di Ergonomia Poliarte e Direttore dell’Accademia di Belle Arti e Design Poliarte di Ancona. 

Oggi viviamo con una costante: la paura. Cos’è la paura?  

La paura è un’emozione vitale, potente ed utile come afferma il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi). L’emozione è una scossa breve e intensa che si differenzia dal sentimento, che è invece prolungato e costante. La paura è una compagna di vita, una sentinella che vigila sul rapporto tra individuo e ambiente, ma che in taluni casi di precarietà, può diventare agente paralizzante. La paura perciò va conosciuta, coltivata, gestita e governata attraverso un processo razionale. Si può valutare la paura? Certo, anzi si dovrebbe sempre averne consapevolezza; giudicare cioè il grado di pressione della minaccia reale o presunta (stimolo esterno o sintomo interno) a cui viene esposto il sistema psicologico. L’individuo di fronte ad un agente minacciante attiva un processo fisiopsicologico che si può distinguere in alcuni momenti: intercetta lo stimolo/sintomo, lo traduce in una sensazione, attiva un intervento percettivo idoneo a capire la natura, la potenza e gli effetti della minaccia, e quindi risponde con una reazione psicologica, di cambiamento dello stato di coscienza e di comportamento con conseguenze pure sull’umore ed il morale. 

Ci spieghi meglio

Il processo percettivo della paura è l’intervento della ragione che muove dalle informazioni utili, oggettive e veritiere disponibili e/o recuperabili nel contesto. L’individuo reagisce, dunque, come può per fronteggiare la minaccia che lo spaventa. Se, tuttavia, l’esposizione alla minaccia è durevole, la paura cresce provocando reazioni irrazionali con un esito stressogeno. Lo stress, e in particolare il distress, quello negativo, è una risposta esagerata ad uno stimolo/sintomo e perciò fortemente penalizzante il sistema psicologico e conseguentemente il sistema immunitario. Allo scopo di aiutare a comprendere la scala in crescendo delle situazioni di paura, presento una tassonomia empirica articolata in tre momenti (sensazione, percezione e reazione comportamentale) ed in cinque step per comprendere l’ingravescenza e quindi il livello di pressione a cui si è sottoposti di volta in volta.

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La linea marcata rappresenta il borderline delimitante l’aspetto fisiologico

Impariamo, dunque, a riconoscere le nostre paure dando loro di volta in volta valore sulla base delle informazioni utili a comportarci in modo corretto e adeguato. Nell’emergenza attuale vanno eseguite scrupolosamente le raccomandazioni del Governo, monitorando la paura individuale e mantenendola sul livello di borderline (allarme) per attrezzare la risposta più adeguata alla situazione in cui ciascuno si viene a trovare. Impariamo a coniugare la paura con la creatività e approfittiamo dell’obbligo di “restare a casa” per riorganizzare la nostra vita personale, sociale e lavorativa riscoprendo la solidarietà e approcciando il lavoro in modo più creativo, cercando, come afferma il filosofo polacco Adam Schaff, l’aspetto ludico sempre presente e spinta all’ottimismo. All’Accademia di Belle Arti e Design - Poliarte di Ancona le attività didattiche – esami, lezioni e attività a scelta - saranno tutte on line fino a nuova disposizione. Un augurio a tutti di buona vita e buon lavoro con un ringraziamento fortissimo agli operatori sanitari e delle forze dell’ordine in prima linea.

 Marco Santarelli

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