Tre Energie del futuro

Tre sono le possibili energie del futuro: sole, acqua e energia in rete.

Partiamo dalla prima: il sole.

Basterebbe una solarizzazione parziale di una regione di qualsiasi paese per avere una capacità di captazione quasi 10 volte superiore alla cattura iniziale: facendolo con il solo Abruzzo ad esempio si potrebbero irraggiare di energia termica ed elettrica circa 10 altre regioni italiane. Solarizzare le zone in futuro non deve passare attraverso il fotovoltaico attuale, tecnica del 1839, ma

servirsi di applicazioni a radiazione ad alto rendimento, oltre il 60%, e non legato al silicio, ma al grafene ad esempio.

Già nel 2013 al CNR, e prima ancora nel 2011 in Enea, si è scoperto che il grafene, una volta colpito da impulsi luminosi molto brevi, provoca un processo di moltiplicazione a cascata degli elettroni. Non dimentichiamo che il grafene è 100 volte più resistente dell’acciaio e non ha bisogno di manutenzione nei tempi e nei modi del silicio. All’Università di Oxford, Department of Materials, stanno addirittura utilizzando l’esfoliazione chimica del grafene per tutte le sue applicazioni nell’elettronica. Si sta cercando di recuperare anche il vapore chimico dello stesso per generare energia termica. Bisogna individuare una strategia di sviluppo che escluda il fatto di utilizzare ampi spazi per produrre di più, in quanto basterebbe una concentrazione maggiore in piccoli spazi. L’incremento generale della riduzione ad impatto zero deve seguire un processo ben preciso e deve permettere agli studiosi di condividere e studiare i fenomeni insieme.

Stessa cosa per l’idroelettrico con in più quella che possiamo chiamare “compensazione ambientale”. Ovvero, sfruttare nelle regioni con ampi flussi di acqua delle canalizzazioni che permetterebbero, attraverso dei salti studiati ad hoc e con un edificio al centro fatto con materiali di scarto e recupero, la produzione abbondante di energia e, nello stesso tempo, la razionalizzazione del livello dell’acqua, evitando problemi di inondazioni e straripamenti di dighe in pericolo. In tale contesto, sarebbe più opportuno disincentivare le ESCo e il loro meccanismo perverso di accollarsi gli investimenti di riqualificazione mai andati a buon fine con le Pubbliche Amministrazioni, e dare invece largo spazio alle cosiddette Energy Performance Contract (EPC). Queste ultime, con un investimento al 50% (il restante 50% dalle imprese) riescono a ottenere il rendimento energetico “necessario” dalle strutture riqualificate, di cui già in partenza si ha garanzia del risultato sulla produzione di energia.

Passiamo alla seconda energia del futuro: l’acqua.

La possibilità di canalizzare l’acqua piovana con quella dei torrenti con più opere di presa nel flusso e salti aumentati, può permettere di generare meno velocità, ma più quantità, che produrrebbe, in determinati periodi dell’anno, vapore favorevole per una migliore gestione della qualità dell’acqua (con vasche ad hoc), che potrebbe diventare anche produzione di calore. La tecnologia adatta sarà una macchina volumetrica a variazione. Ancora non in uso, permetterebbe di risolvere il problema dell’altezza delle acque, aumentando l’efficienza della centrale e consentendo una regolazione del carico più fluida. Un convertitore di frequenza avrebbe il ruolo di smistatore di energia in eccesso.

La terza strada: energia stoccata in rete,ossia la messa in rete e riattivazione di quegli impianti fotovoltaici ormai obsoleti o poco produttivi, confermando così la possibilità di far dialogare in maniera diretta energie date dal surplus che oggi non godono più di incentivo.

La messa in rete potrà essere fatta con la connessione virtuale attraverso wi-fi, di cui parleremo la prossima volta nello specifico, ricordando il famoso fisico Tesla. Qui si gioca il fronte tra produzione e distribuzione. Non devono essere aspetti divisi. Produrre vuol dire continuare a scavare, trovare, raffinare, sfruttare il pianeta o ricavare il meglio da ciò che abbiamo già prodotto per sfruttarlo nuovamente e saperlo distribuire allo stesso momento. Ad esempio, in tal senso, si potrebbe iniziare a parlare di condivisione in grid parity (mettendo in parità il fabbisogno reale e il consumo) della distribuzione dell’eccesso di energia, producendo anche più posti di lavoro per la gestione della regolamentazione.