Di recente si stanno diffondendo sistemi nuovi, chiamati Cyber-Human Systems o più semplicemente CHS, che inglobano tutto il percorso dell’intelligenza artificiale e del Deep Learning per abbracciare la capacità umana con una risposta vera e concreta sull’ambiente. Si sono evoluti dai seguenti programmi: Human-Centered Computing, Human-Computer Interaction, Universal Access, Digital Society and Technologies e, in una certa misura, Digital Government, Information Privacy e Human-Robot Interaction.
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La ricerca sui CHS
La ricerca sui CHS – Cyber-Human Systems può essere considerata uno spazio tridimensionale che comprende uomo, computer e ambiente. La dimensione umana spazia dalla ricerca che supporta, estende la capacità e team orientati agli obiettivi che rispondono alle esigenze degli individui, appartenenti a una società considerata come una raccolta non strutturata di persone connesse. La dimensione del computer spazia dai dispositivi di calcolo fissi, attraverso dispositivi mobili che vanno ovunque con l’uomo, a sistemi computazionali di sensori e dispositivi audiovisivi incorporati nell’ambiente fisico circostante. La dimensione dell’ambiente spazia dai dispositivi computazionali fisici discreti agli ambienti virtuali immersivi, con sistemi di realtà mista al centro di questa gamma.
Se riportiamo questa definizione teorica sulla realtà quotidiana, possiamo fare un esempio concreto considerando zone in cui c’è più inquinamento: attraverso la raccolta dati e attraverso lo studio di socialità e vivibilità delle persone, si mettono giù degli algoritmi che tendono a far stare meglio le persone in determinati luoghi.
In diversi paesi si stanno portando avanti ricerche molto importanti su questi sistemi, anche per prevenire gli attacchi cybersecurity.
Cyber-Human Systems e Industria 4.0
Ci sembra interessante citare uno studio pubblicato nel febbraio 2018 da Elsevier B.V., di cui sono autori Matthew Krugh e Laine Mears del Clemson University International Center for Automotive Research, Greenville, SC, USA, dal titolo “A complementary Cyber-Human Systems framework for Industry 4.0 Cyber-Physical Systems”, ossia come i Cyber-Human Systems possono risultare complementari ai Cyber-Physical Systems dell’Industria 4.0.
Lo studio riguarda in particolare l’industria automobilista e quanto il fattore umano sia elemento vitale per la produzione di questo campo. L’utilizzo di Cyber-Human Systems ha consentito anche in questo caso maggiore sicurezza ed efficienza al lavoro umano, così come un più accurato controllo e monitoraggio della qualità del lavoro svolto manualmente. Per far sì che i sistemi siano davvero intelligenti, devono poter coniugare i Cyber-Human Systems con i Cyber-Physical Systems, ossia quei sistemi “in cui si richiede che gli oggetti fisici siano affiancati dalla propria rappresentazione nel mondo digitale, siano integrati con elementi dotati di capacità di calcolo, memorizzazione e comunicazione, e che siano collegati in rete tra loro”.
Dallo studio emerge che le attività ritenute difficili nel mondo cyber sono le stesse che invece gli umani riescono a portare a compimento naturalmente e, al contrario, quelle inerenti al mondo cyber sono le stesse che necessitano di maggiore attenzione se facciamo il “plug and play” all’essere umano nel nuovo sistema Internet of People and Things.
Lo studio passa in rassegna, mettendoli a confronto, i vari livelli dei Cyber-Physical Systems e Cyber-Human Systems e il livello cyber è l’aggregatore di dati dai flussi di informazione degli individui umani. In questo livello, i Cyber-Human Systems includono confronti sistematici tra i vari lavoratori su un processo individuale o di struttura, dati analizzati di performance attuali o passati, predizione di performance future e possibili miglioramenti fornendo la misurazione della performance al lavoratore umano che può auto-adattare la performance tempestivamente, senza l’intervento dei Cyber-Physical Systems.
Robot, macchine e dati
Si sente spesso parlare della possibilità che i robot, o anche più genericamente le macchine, sostituiranno man mano l’uomo sul luogo di lavoro. Se parliamo di robot come sistemi super intelligenti o come prodotti di un’intelligenza artificiale, pensando che siano la replica del nostro cervello, stiamo sbagliando strada. Programmare un robot intelligente non vuol dire costruire un agente tecnologico che è capace di replicare solo i nostri comportamenti.
Oggi l’approccio è mutato, dato anche da sistemi open, basici e intelligenti, come l’AI o i Data Mining, che generano comunicazione tra tanti dispositivi e che riescono a far colloquiare più sistemi di controllo. Tale atteggiamento sa gestire l’imprevisto includendo soluzioni per problemi inattesi dove il ruolo dell’uomo non viene replicato, ma simulato o aiutato. Ovvero, tramite i robot di nuova generazione, abbiamo un apprendimento di rinforzo, in cui ogni loro azione è basata su “modelli” che partono dalla descrizione del problema per arrivare a delle soluzioni che aiutano l’uomo a migliorarsi e non il contrario.
Pensiamo ai robot da inviare in esplorazione nei siti contaminati oppure in zone sismiche o “energivore”.
Tra le risorse illimitate di cui disponiamo, ci sono i dati. I dati si rinnovano continuamente e all’infinito e gli stessi dispositivi sono tra le principali fonti, creando così un ciclo che si autoalimenta.
Basti pensare che “ogni giorno viene prodotta una enorme quantità di informazioni digitali, stimata intorno ai 2,5 esabyte (1018 byte). In 1-2 anni verrebbero prodotti un numero di dati maggiore di quelli accumulati nel corso della storia dell’umanità, con un volume complessivo pari a 4,4 zettabyte nel 2014 e a 44 zettabyte secondo stime di proiezione riferibili ai primi anni del 2020.
Questo fenomeno è chiamato “datanami”, ossia tsunami dei dati, che, insieme all’intelligenza artificiale, ha provocato una rivoluzione nella nostra quotidianità, da quando Alan Turing del 1940 ne ha posto le basi, supportandoci in diverse attività.
Bisogna tenere presente che per una corretta lettura dei dati non basta la macchina, ma è necessaria la giusta interpretazione da parte dell’uomo. I dati, infatti, sono frutto di scelte culturali, sociali, tecniche ed economiche fatte da individui, istituzioni o società per raccogliere, analizzare e utilizzare informazione e conoscenza. È sbagliato anche parlare di dati grezzi, i cosiddetti “raw data”, proprio perché un dato non è mai incontaminato da teoria o analisi o contesto.
Fonte: AI4Business