Se parliamo di robot come sistemi super intelligenti o come prodotti di un’intelligenza artificiale, pensando che loro siano la replica del nostro cervello, significa che stiamo sbagliando strada.
Programmare un robot intelligente non vuol dire costruire un agente tecnologico che è capace di replicare solo i nostri comportamenti e che ha licenza di uccidere. Infatti, ottenere una risposta desiderata ad input diversi, è tipico della cultura scientifica più arcaica che teme una reazione imprevista dei robot o delle macchine informatiche. Non esistono nemici nella ricerca.
Oggi l’approccio è mutato, dato anche da sistemi open, basici e intelligenti, come l’IA o i data mining, che generano comunicazione tra tanti dispositivi e che riescono a far colloquiare più sistemi di controllo. Tale atteggiamento sa gestire l'imprevisto includendo soluzioni per problemi inattesi dove il ruolo dell'uomo non viene replicato ma simulato o aiutato. Ovvero, tramite i robot di nuova generazione, abbiamo un apprendimento di rinforzo dove ogni loro azione (così come abbiamo pensato il mio Robot Biro per l'energia) è basata su "modelli" che partono dalla descrizione del problema per arrivare a delle soluzioni che aiutano l'uomo a migliorarsi e non il contrario.
Pensiamo ai robot da inviare in esplorazione nei siti contaminati, oppure dove c'è una zona sismica o banalmente dove si spende troppo in energia.
Marco Santarelli
Inspired by Science Robotics