Perché la battaglia USA-Cina sul 5G è critica per l’Europa: la posta in gioco - Agenda Digitale

Il mio ultimo articolo per Agenda Digitale, scritto insieme ad Alessandro Longo, sugli "scontri" tra Usa e Cina per il 5G che coinvolgono a cascata anche l’Europa, seppure con i Paesi in ordine sparso. L’Europa può trarre vantaggi come anche grossi rischi per il futuro, in un momento molto delicato per la crisi del covid-19. Ecco i fattori in gioco.

5g usa cina

 

Che c’è dietro la decisione del Regno Unito di escludere Huawei dallo sviluppo dell’infrastruttura 5G e le recenti mosse italiane e francesi che sembrano nelle stesse direzioni? Si tratta di una svolta rispetto allo scenario di pochi mesi fa, che sembrava di maggiore equilibrio.

L’Europa ora è al centro di uno scontro Usa-Cina: posizione da cui può trarre vantaggi come anche grossi rischi per il futuro, in un momento molto delicato, a causa della crisi del covid-19.

Vediamo di capirci di più.

 

I fatti

Il Governo britannico ha parlato attraverso la sua agenzia governativa, la Gchq, che si occupa di comunicazione, sicurezza ed intelligence, e ha preso una posizione totalmente nuova nei confronti del 5G e soprattutto nei confronti di Huawei.

Ci sono stati subito riverberi in Francia e Italia, segno che qualcosa di rilevante è in corso.

Per la Francia, Guillaume Poupard di ANSSI (Agence Nationale de la Sécurité des Systèmes d’Information) ha parlato alle compagnie nazionali dicendo loro che coloro le quali non hanno “ricevuto un’autorizzazione esplicita per l’impiego di componentistica Huawei da destinare alle reti 5G dovranno considerare una mancata risposta alle loro richieste come una non autorizzazione a procedere”.

L’Italia da alcune indiscrezioni di stampa starebbe valutando più fortemente l’esclusione di Huawei; Tim l’ha già fatto nelle gare di appalto relative al 5G, in questi stessi giorni, pur affermando che la scelta non è politica.

Perché questa accelerata e cosa c’è dietro? Le risposte sono sicuramente tre.

 

La sicurezza nazionale

La prima di carattere di sicurezza nazionale dei singoli Paesi: infatti, dopo alcuni mesi di lavoro di intelligence, gli Stati Uniti ritengono che ci siano prove concrete che Huawei sia un cosiddetto “perno statale cinese” dando alla Cina la possibilità di avere presenza forte e costante nelle infrastrutture critiche di ogni singolo Paese. Ciò che colpisce in questo primo scenario, come anticipato già tempo fa, è che l’attenzione non sia più relativa al passaggio delle singole informazioni, ma come queste informazioni vengono gestite e dove vanno a finire .

La possibilità che il flusso delle informazioni arrivi in mano agli altri Paesi e vengano rese note le strategie degli stessi, ha comportato il fatto di aprire dei tavoli di lavoro molto più efficaci, come quello sul perimetro cibernetico in Italia, non più legati alla singola attività imprenditoriale o declinati a questioni solo di geopolitica, ma che permeano il concetto stesso di sicurezza nazionale. Non si può più pretendere che tali informazioni, che poi vengono gestite non precisamente con buoni fini, siano fluttuanti e soprattutto siano poi rivendute per delle supremazie globali che non danno la possibilità anche a piccole Nazioni o piccoli fornitori di crescere all’interno del tessuto industriale di appartenenza. L’attenzione principale delle agenzie dei servizi segreti nazionali e il lavoro dell’intelligence si imperniano proprio sul fatto che non è tanto il concetto di infrastruttura in cui si va a lavorare, già per sé stesso importante, il problema principale, ma come l’informazione passerà attraverso queste infrastrutture, quindi come le informazioni saranno trasmesse da un punto ad un altro e quante possibilità ci saranno per intercettarle. Questo primo punto ci svela che il problema non è più tecnologico, ma nel contenuto delle infrastrutture. Ovvero nelle aziende che vendono infrastrutture e chip su cui passano poi le informazioni. La raccolta di queste informazioni genera uno slot proprietario in cui la possibilità poi di utilizzare quelle informazioni è riservato a pochi. Ricordiamo che la tecnologia 5G dovrà consentire la connessione di 1 milione di dispositivi per km quadrato e gli operatori di telecomunicazioni dovranno disporre di almeno 100 MHz in frequenza, con la possibilità di scalare fino a 1 GHz. Questo vuol dire che il collo di bottiglia sarà allargato e il reperimento delle informazioni sarà scalabile senza precedenti.

D’altronde con l’introduzione di “Poteri speciali inerenti le reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G” nel Golden Power, si è giunti alla “stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione” delle reti 5G, “ovvero l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica” funzionali alla rete stessa, se “posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea”, sono soggetti agli obblighi di notifica.

Spetta poi al Presidente del Consiglio valutare le richieste degli operatori di telecomunicazioni di acquisire beni e servizi legati al 5G da Paesi extra UE, esercitando il veto o stabilendo particolari condizioni. Come detto più volte, anche nella Relazione sulla Politica dell’informazione per la sicurezza si parla esplicitamente, sulla scorta delle leggi 133/2019, 56/2019 e 105/2019, di monitorare la tecnologia 5G, come ci dice anche il capo del DIS Gennaro Vecchione nell’ambito del Golden Power, e di salvaguardarla attraverso la prescrizione “agli operatori di notificare i contratti per l’acquisizione di beni e servizi connessi a quelle reti e conclusi con fornitori extra-europei”.

A far paio con questa posizione, Nigel Inkster, ex numero due dell’MI6 oggi senior advisor dell’IISS, che invita tutti, Italia compresa, ad evitare ”di diventare danni collaterali nella sfida tra Stati Uniti e Cina”. L’Italia, secondo il funzionario, deve rimanere in corsa e dire la sua. Su Huawei dice che sarebbe meglio non escluderla del tutto, anche per sapere ciò che sta sviluppando.

 

Il protezionismo cinese

Uno dei motivi collaterali per cui gli Stati Uniti e altri osservatori considerano corretto limitare la presenza Huawei discende dalle politiche protezionistiche seguite dal governo cinese. E che non hanno uguali in Occidente.

Politiche basate su:

  • Sussidi ai propri campioni nazionali (in Europa sarebbero bollati come aiuti di Stato, illeciti)
  • Obblighi ai propri partner di condividere segreti industriali (in alternativa, attacchi cyber, noti e documentati da tempo, per il furto degli stessi segreti)
  • Limitazioni all’iniziativa commerciale in Cina per aziende straniere

La crescita di Huawei e l’iper-competitività dei suoi prezzi, in rapporto alla qualità delle sue innovazioni, si può spiegare anche con i suddetti motivi.

 

Le sanzioni USA a Huawei

Dalla dinamica di sicurezza nazionale, arriviamo al secondo aspetto: un motivo politico e di supremazia di cui si parlava prima. Gli Usa, attraverso le forti sanzioni imposte a Huawei impediscono di fatto al colosso cinese di utilizzare brevetti e chip americani. Questi sono i talloni di Achille della capacità cinese di produrre tecnologia. Tali sanzioni già indeboliscono Huawei. Il rischio è che le sanzioni rendano meno affidabili e sicure le tecnologie di Huawei, in una sorta di “profezia che si auto avvera”.

 

Il debito Usa

La terza interpretazione di questa ostile apprensione verso Huawei è che alcuni Paesi, in stretta amicizia con gli USA, stiano facendo “cartello” per sopprimere e nascondere il possibile controllo cinese sul mercato americano avendo USA e Cina un rapporto di debiti e crediti da molti anni. Non dimentichiamo che il debito pubblico USA è salito a 26.000 miliardi, con tanto di svalutazione del dollaro. La Cina sta svendendo in massa i titoli di debito statunitensi, anticipando la svalutazione A tal punto la pressione americana è evidente e l’obiettivo è allearsi con la UE e soprattutto con il Regno Unito, storicamente dotato di comparti di sicurezza che riuscirebbero ad arginare al meglio il predominio cinese. Allo stesso tempo i Paesi della UE non intendono assolutizzare queste posizioni e strategicamente, dopo aver dato “asilo” a Huawei nelle proprie città, con edifici e lavoro, vorrebbero attendere le elezioni americane. Insomma, un puzzle da costruire e ricostruire ogni minuto e ora.